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Un tatuaggio ….. per ridare un sorriso.

Category : Curiosità

E’ trascorso molto tempo da quando tatuare il proprio corpo aveva il significato di “integrazione sociale”, di distinzione di rango, di “segno d’appartenenza” ad una certa categorie di persone; sono ormai lontani i tempi in cui farsi un tatuaggio era esclusiva (o quasi) dei delinquenti, dei carcerati o di altri individui “poco raccomandabili”. Oggi come oggi il tatuaggio è divenuto una pratica sempre più diffusa, è un modo per abbellirsi, per comunicare qualcosa di sè, per dichiarare l’appartenenza a un gruppo e, allo stesso tempo, confermare la propria unicità di persona, mostrando, più o meno pubblicamente, particolari di noi che in genere sono tenuti nascosti. Ma c’è un’altra motivazione che porta a decorare il proprio corpo; una motivazione più profonda che va ben oltre tutte quelle summenzionate; per contribuire a facilitare un percorso lungo e travagliato: quello delle donne malate di cancro, riaccendendo in loro la speranza ed il sorriso, facendole sentire belle anche durante questa terribile malattia. Si chiama Henna Heals, è un’organizzazione creata in Canada da 5 tatuatrici. Con oltre 150 artisti dell’hennè sparsi in tutto il mondo che, tramite questo semplicissimo inchiostro temporaneo, creano vere e proprie tele artistiche sulle teste delle donne malate di cancro che, oltre a dover combattere ogni giorno un’incredibile battaglia contro uno dei peggiori mali del secolo, fanno i conti con la perdita dei capelli che spesso accompagna la chemioterapia. L’organizzazione ha deciso di trasformare questi dolorosi periodi della vita, in qualcosa di bello e femminile, utilizzando un’antica tecnica ornamentale in grado di rendere esteticamente bello ciò che, a prima vista, appare “malato”. Ogni essere umano è una bella opera d’arte e finalmente le persone senza capelli a causa della chemioterapia o di gravi forme di alopecia, che spesso cercano di nascondere la testa calva sotto parrucche, cappelli o foulard, possono sentirsi più sicure del proprio aspetto. Henna Cure offre servizi di hennè per eventi speciali e per dipingere le pance delle future mamme, rivisitando in chiave moderna questa pasta naturale risalente alle antiche tradizioni asiatiche e alla storia del Medio Oriente, per dar vita a meravigliose corone dai motivi floreali, simboli religiosi … messaggi di speranza che aiutano a sconfiggere le difficoltà demoralizzanti che si sommano alle lotte fisiche ed emotive dovute alla malattia. Sono un inno alla vita, un’esperienza di guarigione, dato che, come spiega la fondatrice Frances Darwin, “Per le donne è importante sentirsi belle e femminili anche durante la malattia”.

Fonte: Caterina Lenti


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La storia del tatuaggio.

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La parola tatuaggio deriva dal polinesiano “tatau” che, letteralmente, significa marchiare o battere infatti il tipico suono che emette il battito delle bacchette sui tamburi di alcune di queste tribù, è Tau-Tau. Il picchiettare del legnetto sull’ago che buca la pelle, tecnica antica che ancora oggi qualcuno pratica, riproduce il tipico suono dei citati tamburi per cui ad ogni tau viene marchiata la pelle.
L’introduzione di questo termine polinesiano e’ da attribuire al capitano James Cook, che, nel suo diario di bordo redatto agli inizi del 1800, descriveva la tecnica del tatuare degli indigeni polinesiani. Da tatau quindi derivò poi la parola inglese “tattoo”. Il tatuaggio è stato impiegato presso moltissime culture, sia antiche che contemporanee, accompagnando l’uomo per gran parte della sua esistenza; a seconda degli ambiti in cui esso è radicato, ha potuto rappresentare sia una sorta di carta d’identità dell’individuo, che un rito di passaggio, ad esempio, all’età adulta.
E’ ormai provato che il tattoo ha origini molto antiche: è stato ritrovato, in una grotta in Francia, un punteruolo molto appuntito ricavato da un osso di renna e che probabilmente fu usato per tatuare durante il periodo del paleolitico superiore. Scavi archeologici hanno riportato ala luce resti di uomini e donne tatuati vissuti fino a 6000 anni fa, appartenenti a popolazioni sudamericane, nordamericane, eschimesi, siberiani, cinesi, egiziani ed anche italiane.
Tatuaggi terapeutici sono stati ritrovati sulla Mummia del Similaun (ca. 3300 a.C.) ritrovata nel 1991 sulle Alpi italiane, altro ritrovamento con tatuaggi anche piuttosto complessi è quello dell'”uomo di Pazyryk” nell’ Asia centrale con complicati tatuaggi rappresentanti animali. Tra le civiltà antiche in cui si sviluppò il tatuaggio fu l’Egitto ma anche l’antica Roma, crocevia di civiltà, dove venne vietato dall’imperatore Costantino, a seguito della sua conversione al Cristianesimo (“Non vi farete incisioni nella carne per un morto, né vi stamperete segni addosso. Io sono l’Eterno – Levitico 19.28”). È peraltro da rilevare che, prima che il Cristianesimo divenisse religione lecita e, successivamente religione di Stato, molti cristiani si tatuavano sulla pelle simboli religiosi per marcare la propria identità spirituale.
È inoltre attestata nel Medioevo l’usanza dei pellegrini di tatuarsi con simboli religiosi dei santuari visitati, particolarmente quello di Loreto. Fra i cristiani la pratica del tatuaggio è diffusa fra i copti monofisiti. Col tatuaggio i copti rimarcano la propria identità cristiana, i soggetti sono solitamente la croce copta, la natività ed il Santo Mar Corios, martirizzato sotto Diocleziano e rappresentato in sella ad un cavallo con un bambino. La Religione ebraica vieta tutti i tatuaggi permanenti, come prescritto del Levitico (19.28). In particolare, l’Ebraismo vieta ogni incisione accompagnata da una marca indelebile di inchiostro o di altro materiale che lasci una traccia permanente. Anche la Religione musulmana vieta tutti i tatuaggi permanenti, come spiegato da diversi ahadith del profeta Maometto, sono consentiti solo i tatuaggi temporanei fatti per mezzo dell’hennè, pigmento organico di color rosso-amaranto, ricavato dalla pianta della “Lawsonia inermis”, “Henna” in arabo. Nella tradizione araba e anche in quella indiana sono le donne a tatuarsi con l’henna, sia le mani che i piedi; molte spose vengono completamente tatuate per la loro prima notte di nozze, infatti la sera prima delle nozze viene chiamata “Lelet al Henna” (la notte dell’henna). I tatuaggi d’henna sono estremamente decorativi, quasi sempre con motivi floreali stilizzati; quelli molto elaborati finiscono per sembrare delle opere d’arte che hanno la durata media di qualche settimana di vita. Gli uomini musulmani, specialmente i fervidi praticanti sunniti, usano l’henna per tingersi i capelli, la barba, il palmo delle mani e dei piedi; agli uomini non è consentito fare tatuaggi decorativi neanche con l’henna. Comunque c’è da dire che tra i contadini egiziani (usanza molto probabilmente derivante dall’Antico Egitto) ed i nomadi musulmani (per lo più quelli sciiti) sia le donne che i bimbi particolarmente belli, vengono tatuati in maniere permanente con piccoli cerchietti o sottili linee verticali, sia sul mento che tra le due sopracciglia. È un’usanza di tipo scaramantica, infatti il colore con cui si tatuano è l’azzurro, il colore scaramantico per eccellenza fin dal tempo dei faraoni.
Altri popoli che svilupparono propri stili e significati furono quelli legati alla sfera dell’Oceania, in cui ogni particolare zona, nonostante le similitudini, ha tratti caratteristici ben definiti. Famosi quelli Maori, quelli dei popoli del monte Hagen, giapponesi, cinesi e gli Inuit anche se praticamente ogni popolazione aveva dei suoi caratteristici simboli e significati. Nella zona europea il tatuaggio venne reintrodotto successivamente alle esplorazioni oceaniche del XVIII secolo, che fecero conoscere gli usi degli abitanti dell’Oceania. Alla fine del XIX secolo l’uso di tatuarsi si diffuse anche fra le classi aristocratiche europee, tatuati celebri furono, ad esempio, lo Zar Nicola II e Sir Winston Churchill. È da segnalare che il criminologo Cesare Lombroso ritenne, in un’epoca di positivismo, essere il tatuaggio segno di personalità delinquente. Non è affatto vero che il tatuaggio sia nato nelle carceri e quindi è un luogo comune etichettare il tatuato come un delinquente. La diffusione del tatuaggio in tutti gli strati sociali e fra le persone più diverse negli ultimi trent’anni relega tali considerazioni criminologiche e luoghi comuni a mera curiosità storica.
Techiche del tatuaggio
Gli Inuit usano degli aghi d’osso per far passare attraverso la pelle un filo coperto di fuliggine (la china, che artigianalmente e impropriamente si adopera per lo scopo è in fin dei conti una sospensione acquosa di fuliggine).
Nelle zone oceaniche (Polinesia, Nuova Zelanda) il tatuaggio viene eseguito tramite i denti di un pettine di osso che fermato all’estremità di una bacchetta (formando così uno strumento di forma simile a un rastrello), e battuto tramite un’altra bacchetta, forano la pelle introducendo il colore, ottenuto quest’ultimo dalla lavorazione della noce di cocco.
I giapponesi, con la tecnica detta “tebori”, usano sottili aghi metallici e pigmenti di molti colori, ed introducono nella pelle sostanze di natura chimica diversa e di colore diverso. La tecnica giapponese prevede che gli aghi, fissati all’estremità di una bacchetta che viene fatta scorrere avanti e indietro (di forma simile a un sottile pennello), siano fatti entrare nella pelle obliquamente, con minor violenza rispetto alla tecnica polinesiana, ma comunque in modo abbastanza doloroso.
In Thailandia e Cambogia è in uso una tecnica, simile a quella giapponese, nella quale vengono utilizzate una diversa posizione delle mani del tatuatore e una bacchetta di lunghezza maggiore. L’angolo di introduzione degli aghi nella pelle è meno obliquo rispetto alla tecnica giapponese, ma il movimento della bacchetta è meno vigoroso. Il tatuaggio occidentale viene invece eseguito tramite una macchinetta elettrica, cui sono fissati degli aghi in numero vario a seconda dell’effetto desiderato; il movimento della macchinetta permette l’entrata degli aghi nella pelle, i quali depositano il pigmento nel derma.
Infine, la tecnica americana (che è diventata la tecnica occidentale) che ricorre alla macchinetta elettrica ad aghi, determina sensazioni calde, vibranti, ma non dolorose. La componente della sofferenza segna una netta spaccatura tra il tatuaggio odierno, di stampo occidentale, e quello del passato, diffuso in Asia, Africa ed Oceania.
In tali contesti l’esperienza del dolore (che da noi viene rifiutata: qui è richiesta solo la tecnica americana) è fondamentale, in quanto avvicina l’individuo alla morte e la sopportazione del dolore diventa esorcizzante nei confronti della stessa. Oltre all’esperienza del dolore, è indispensabile la perdita di sangue. Il sangue è l’indicatore per eccellenza della vita: spargere sangue, in modo controllato e ridotto, quando si esegue un tatuaggio, significa simulare una morte simbolica.

fonte: tatuaggi.it, guazzabuglio.it